Ho iniziato a fotografare matrimoni come secondo fotografo nei primi anni ’90. Ricordo ancora la tensione, la concentrazione, la paura di sbagliare e sentirmi dire che non potevo sprecare tutta quella pellicola ma anche la gioia quando una mia foto era stata scelta e sarebbe finita a tutta pagina nell’album.
fotografare il matrimonio su pellicola
di SIMONE LUCHETTI
Fotografo
Quando vidi girare di nuovo le Holga, le toy camera a pellicola molto usate anche da fotografi evoluti, ho sentito un brivido. Fu propio una Holga Diana la prima fotocamera realmente funzionante che ricevetti in regalo da bambino. Non è durata abbastanza da riuscire ad usarla consapevolmente ma qualche rullo l’ho sicuramente sprecato lì.
Se prima dell’avvento del digitale la fotografia a pellicola era l’unica disponibile, da alcuni anni sta riemergendo tra alti e bassi e sta cercando di ritagliarsi una nicchia di mercato tanto che noti brand del passato hanno reintrodotto prodotti storici e nuove startup sono nate per offrire una serie di accessori che fanno da ponte tra il vecchio e il nuovo. A dire il vero di molti brand storici è rimasto solo il marchio, in mano ad altri.
La nicchia, dicevamo, è un concetto cui il mercato guarda con attenzione. Ad un brand al debutto può dare un ampio spazio di visibilità senza dover scendere da subito nell’arena con i big player, iniziando così a crearsi una reputazione. Per un brand in difficoltà può rappresentare una nuova chance.
Così anche i fotografi trovano nella nicchia le risposte ad alcuni bisogni. Ma c’è anche altro.
Fotografare il matrimonio su pellicola significa principalmente dedicare più tempo alla preparazione dello scatto ed essere coscienti che nella fase successiva sarà possibile intervenire in misura minore rispetto al digitale. Scattare senza preview sul display e scattare la foto successiva senza aver visto la precedente è qualcosa cui non siamo più abituati.
Il fotografo che decide di fotografare il matrimonio su pellicola non sceglie semplicemente un mezzo, un prodotto o una tecnica: sceglie un modo di lavorare diverso, meditato, un percorso più irto tra l’immagine in mente e quella restituita.
Scatterà meno, scatterà con maggiore concentrazione. Se riuscirà, otterrà immagini con un feeling diverso e una pasta visiva più autentica, un legame analogico con il soggetto ritratto. Non è un caso che le tecnologie applicate al digitale si prodighino per simulare queste caratteristiche.
Le pellicole sono costose, ora più di prima, non potendo i produttori sfruttare economie di scala significative. Fortunatamente le attrezzature sono reperibili abbastanza economicamente: sul mercato si trovano splendide fotocamere degli anni ’70 e ’80 con lenti magnifiche a prezzi accessibili. Poi però occorre sviluppare e stampare.
Sì, perché se il digitale dà l’illusione che sia sufficiente avere la foto sull’hard disk, la fotografia analogica può finire solo sulla carta – a meno di non ricorrere ad un percorso ibrido che acquisisce il negativo trasformandolo in un file.
Quindi ecco entrare in gioco altre skill: la camera oscura, lo sviluppo delle pellicole, la stampa.
Sviluppare pellicole e stampare richiede l’utilizzo di prodotti chimici, acidi che devono essere smaltiti con procedure eco-compatibili. Alcuni prodotti, ad esempio, sono solo leggermente nocivi per i mammiferi ma sono molto pericolosi per le piante e devono essere smaltiti nelle eco-aree apposite.
Lei è bella
Lo so
È passato del tempo ed io
Ce l’ho nel sangue ancor
[…]
Ebbene sì! Me la porto dentro come Paolo Conte si portava il suo amore messicano. Ho iniziato a fotografare matrimoni su pellicola facendo da secondo fotografo nei primi anni ’90. Ho ancora in mente la tensione, la concentrazione, la paura di sbagliare e sentirmi dire che non potevo sprecare tutta quella pellicola ma anche la gioia quando una mia foto era stata scelta e sarebbe finita a tutta pagina nell’album.
Ma non sarei il fotografo che sono oggi senza gli insegnamenti raccolti in quel periodo. E lo dico nonostante abbia fatto altre esperienze prima di tornare alla fotografia nel secondo decennio del nuovo millennio.
Una scelta così radicale richiede compromessi: avrai meno immagini e ti costeranno di più. Dovrai essere più paziente durante le riprese. Dovrai attendere più tempo prima di poter vedere i primi scatti. Se vorrai che tutto il processo sia analogico, avrai le foto incollate in un album anziché unphotobook.
Avrai un prodotto che ingloba un approccio e risponde ad un paradigma fotografico che si è un po’ perso con l’avvento del digitale, ovvero quello di avere lo scatto in testa prima di azionare l’otturatore. Senza dubbio è una situazione in cui un fotografo autoriale può esprimersi al meglio ma occorre esser disposti ad assumersi qualche rischio legato direttamente all’autorialità. Si va più sicuri con un reportagista esperto, ma – attenzione – esperto sul serio, ovvero uno nato non oltre il 1970 (anno più anno meno) che nel 2000 aveva già almeno dieci anni di reportage giornalistico sulle spalle. E non è così comune trovarne disposti a riprendere cerimonie.
Voglio precisare che ho volutamente parlato di attitudine del fotografo al reportage o all’autorialità (che nulla vieta possano coesistere nella stessa persona) e non ho parlato di sitle autoriale o reportagistico del servizio fotografico. Ne parlo più in dettaglio qui [da fare].
Mai la tecnologia si è evoluta velocemente come da alcuni anni a questa parte. Abbiamo tecnologie sempre nuove che non portano solo immagini più grandi e più dettagliate ma significano soprattutto risoluzione di problemi e miglioramento di aspetti critici. Per fare un esempio, quando i sensori hanno iniziato a sfornare file sufficientemente puliti a ISO1600, sono spariti dalle cerimonie i proiettori Ianiro al quarzo (quelli con la calotta rossa e le alette nere) e per alcuni fotografi i flash a slitta sono rimasti nelle borse, se non per alcuni usi creativi. Un altro esempio più recente mostra come l’introduzione dell’intelligenza artificiale abbia fatto sì che la macchina fosse in grado di riconoscere un occhio all’interno di un volto e mantenerlo a fuoco anche con il soggetto in movimento. Ciò ha permesso di fotografare gli sposi mentre percorrono il tragitto che li porta alla soglia concentrandosi su altri aspetti dell’inquadratura perché a tenere il punto di fuoco sull’occhio della sposa ci pensa la macchina. Progressi successivi nell’applicazione degli algoritmi di AI hanno reso disponibili strumenti software per scontornare e modificare rapidamente le immagini, riducendo i tempi ed i costi di editing.
Con la pellicola non possiamo appoggiarci a queste tecnologie. Le fotocamere a pellicola più recenti vantano sistemi complessi di misurazione dell’esposizione, avanzamento motorizzato ed autofocus. Sono tecnologie che all’epoca erano dedicate al fotogiornalismo piuttosto che alla fotografia di ritratto e cerimonia. Personalmente, non ne ho mai fatto uso. Ho sempre utilizzato fotocamere completamente manuali, tutte in metallo e indistruttibili, tanto da funzionare tuttora perfettamente. Il ritratto e la cerimonia, inoltre, sono sempre stati un genere affrontato con fotocamere di formato medio, ovvero con un negativo alto 6cm. in luogo del formato 135 che usava pellicole alte 2,4cm.
Questa differenza portava a dover utilizzare un fattore di ingrandimento inferiore in fase di stampa a parità di dimensioni finali oppure stampe più grandi a parità di resa dell’immagine. In parole povere, se una fotografia scattata con un rullo 135 una volta ingrandita in formato 50×70 usciva sgranata, la stessa foto scattata sul medio formato avrebbe prodotto un 50×70 più nitido. Le pellicole per il medio formato erano più costose, occorreva sostituirle più spesso (o usare costosi magazzini intercambiabili da pre-caricare, per i modelli Hasselblad e simili) Quindi ci si dotava di un corredo che prevedesse entrambi i formati: il 135 sarebbe stato usato per le foto che sarebbero state stampate in dimensioni inferiori mentre il medio formato per i ritratti posati o momenti comunque che sarebbero finiti in stampa a dimensioni maggiori.
Propendo per una soluzione ibrida, un best of both worlds. Utilizzerei il digitale nelle parti in cui più immagini compongono uno storytelling e nei contesti con poca luce, come alcune chiese o alcune sale illuminate a lume di candela o poco più (non amo intervenire modificando la luce ambiente, soprattutto quando dietro c’è un progetto) e utilizzerei il medio formato analogico per posati e ritratti, anche ambientati, per riproporre tonalità e risultati che passano un calore e un feel particolare (chiamali vintage, se vuoi) utilizzando il metodo originale anziché la sua simulazione algoritmica.
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